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dialètto, sm. Sistema linguistico, caratteristico di una determinata zona geografica, più o meno simile alla lingua ufficiale nazionale, ma che non ha acquisito lo statuto sociale e culturale di tale lingua. Se in un'area linguistica, in cui sono parlate numerose lingue affini, una di queste viene elevata a lingua ufficiale e viene appresa da tutti i parlanti che vivono in quell'area, tutte le altre diventano dialetti. È quanto è accaduto in Italia fra il Duecento e il Cinquecento, quando il toscano ha assunto un ruolo dominante tra i tanti volgari italiani. La distinzione tra lingua e dialetto non è strettamente linguistica, ma piuttosto sociopolitica: la lingua è sostenuta da istituzioni come la scuola, la letteratura, il giornalismo e serve a una comunicazione più vasta, talvolta anche internazionale. Il dialetto riguarda solo istituzioni culturali locali e viene impiegato soprattutto per le comunicazioni orali in ambiti geograficamente ristretti, generalmente come strumento alternativo rispetto alla lingua ufficiale. Tuttavia, i dialetti hanno costituito il serbatoio linguistico che ha arricchito l'italiano moderno. Dal punto di vista storico, l'uso letterario del dialetto si trova già nel Rinascimento (Ruzante), fra Settecento e Ottocento viene assunto come strumento realistico (C. Goldoni, G. G. Belli, C. Porta). Il ricorso al dialetto, da C. Porta in poi, si fa più frequente (Eduardo, S. Di Giacomo, G. Verga, P. P. Pasolini, C. E. Gadda), utilizzato sia per arricchire l'italiano sia in modo esclusivo. In Italia sono distinguibili molti dialetti, con caratteri distintivi spesso risalenti a fattori storici e sociali. ~ gergo, parlata, vernacolo. <> lingua. 


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