Enciclopedia

Leopàrdi, Giàcomo (Recanati 1798-Napoli 1837) Poeta. Nacque a Recanati il 29 giugno 1798 dal conte Monaldo Leopardi e da Adelaide dei marchesi Antici. Assieme ai fratelli Carlo e Paolina venne affidato a don Sebastiano Sanchini e don Vincenzo Diotallevi che li avviarono agli studi. A soli dieci anni approfondì per proprio conto il latino, il francese, l'inglese e lo spagnolo gettandosi avidamente nella biblioteca paterna. Nel 1809 si avvicinò ai testi oraziani raccogliendo varie dissertazioni latine e iniziò a comporre liriche, sermoni, favole, epigrammi e la sua prima tragedia, La virtù indiana. Un anno dopo scrisse una seconda tragedia, Pompeo in Egitto, e gli Epigrammi. Nel 1813 dopo lo studio del greco e dell'ebraico si dedicò alla filologia che considerò strumento necessario per raggiungere la gloria, applicandosi con tutte le sue energie; nacquero così dal 1812 al 1817 opere come la Storia dell'Astronomia, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, terminati in due mesi di lavoro e nel 1814 opere più strettamente filologiche come i Commentari de vita et scriptis rhetorum ... e i Fragmenti patrum secundi saeculi. Nel 1815 compose In Julium Africanum Jacobi Leopardi Recanatensis Comitis Lucubrationes e contemporaneamente portò a termine una serie di traduzioni tra le quali gli Idilli di Mosco e la Batracomiomachia. Nel 1816 ebbe inizio la conversione letteraria cioè l'interesse per la letteratura e la poesia e tradusse gli scritti di Frontone, scoperti da Angelo Mai, le Iscrizioni greche triopee, il Moretum, il primo libro dell'Odissea e il secondo libro dell'Eneide. Compose l'Inno a Nettuno, mentre come saggista completò la sua esperienza con il Discorso sopra la vita e le opere di M. Cornelio Frontone e con il discorso Della fama di Orazio presso gli antichi due anacreontiche adespote. Nella primavera scrisse il suo primo idillio, Le rimembranze; nel corso dell'anno compose la cantica Appressamento della morte e La lettera ai compilatori della biblioteca italiana. Nel 1817 iniziò la corrisponza con Pietro Giordani e i suoi rapporti con la corrente del classicismo illuminista; da qui il concetto di una poesia tutta intesa all'oratoria civile che lo stimolò a definire meglio i lineamenti di una poesia personale. Nell'estate iniziò ad attuare il proposito di fissare in uno Zibaldone pensieri, impressioni, ricordi; sempre nello stesso anno tradusse la Titanomachia di Esiodo e scrisse le Memorie del primo amore riferendo la drammatica esperienza della crisi amorosa per la cugina Geltrude Cassi-Lazzari. Nacque così l'Elegia I, successivamente intitolata Il primo amore, in cui risultò evidente lo sforzo di conciliare la nuova sensibilità romantica alla rigida struttura del componimento. In questo delicato momento giunse l'amicizia con Pietro Giordani che avviò il Leopardi a una soluzione originale; il Romanticismo impostato nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica trovò il suo solido supporto nell'attiva presenza del Giordani e nella scelta di un equilibrio dialettico tra passato e presente. Di questo periodo furono le canzoni Sopra il monumento di Dante e All'Italia dove è presente la nostalgica attenzione verso l'antichità considerata specchio di una natura autentica e incorrotta, giovinezza felice del genere umano, ormai negata all'uomo contemporaneo. L'equilibrio raggiunto in quel periodo non fu di lunga durata; la crisi pessimistica culminò nel 1819 nel tentativo fallito di fuga da Recanati. Scrisse in questo periodo i primi idilli: L'infinito, Alla luna, La sera del dì di festa, La vita solitaria e Ricordi d'infanzia e di adolescenza. La tragica presenza dell'infelicità individuale sfociò nel 1820 nella Canzone ad Angelo Mai quant'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica, per trasformarsi poi nel 1821 in pessimismo cosmico e natura matrigna nel Bruto Minore proseguendo nel 1822 nell'Ultimo canto di Saffo. Nel periodo 1820-1822 scrisse anche Nelle nozze della sorella Paolina e A un vincitore nel pallone e le canzoni Alla primavera, Delle favole antiche, Inno ai Patriarchi dove vi è ancora spazio aperto alle illusioni, al richiamo della bella età,, ma già si fa strada il senso della solitudine. In novembre lasciò Recanati per trasferirsi a Roma, ospite dello zio Carlo Antici e qui terminò la versione del Martirio de' santi Patri. Nel maggio 1823, deluso dall'esperienza romana, rientrò a Recanati e scrisse in sette giorni la canzone Alla sua donna e la Satira di Simonide sopra le donne. Nel 1824 compose le prime venti Operette morali e il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani. Invitato a Milano dall'editore Antonio Fortunato Stella, nel 1825 intensificò i propri studi di filosofia antica traducendo Socrate, Teofrasto, Prodico e il manuale di Epitteto. Le conquiste stilistiche di questo periodo sono decisive per il futuro della poesia leopardiana. Probabilmente il silenzio che seguì e il ricorso alla prosa (operette morali) derivarono dalla consapevolezza di aver raggiunto con gli idilli una dimensione difficilmente superabile. In questo periodo lavorò anche a un'edizione delle opere di Cicerone. Dall'ottobre 1825 al novembre 1826 si trasferì a Bologna dove scrisse l'Epistola al conte Carlo Pepoli, recitata il lunedì di Pasqua presso l'accademia dei Felsinei, e stampò a Bologna il volume dei Versi; in novembre ritornò a Recanati. Questo periodo trascorso in una cupa malinconia tra Milano, Bologna e Recanati fu segnato dalla mancanza di vena poetica; il lavoro però non gli mancò e nonostante fosse tormentato dalla malattia e dal bisogno di mantenere gli impegni, affrontò un lavoro faticoso che richiedette un duro sforzo fisico ed intellettuale: il commento al Canzoniere del Petrarca. Nel 1827 l'editore Stella pubblicò a Milano il volume dedicato alla prosa della Crestomazia italiana e le Operette morali, libretto di prosa che ebbe un significato determinante nella successiva strutturazione della poesia leopardiana e dimostrò come la prosa era stata nutrice del verso avviando il poeta alla conquista di un nuovo timbro stilistico. 
Si stabilì quindi a Firenze ed entrò in contatto con il circolo del Vieusseux; in settembre a un ricevimento conobbe Alessandro Manzoni. L'anno si chiuse in un costruttivo fervore che testimoniò l'avvenuta ripresa della creatività ed un raggiunto equilibrio spirituale. Nacquero così il Copernico e il Dialogo di Plotinio e di Porfirio nei quali la fantasia raggiunge una sua totale libertà. Lasciata alle spalle Firenze si stabilì a Pisa dove rimase dal novembre 1827 al giugno 1828, attratto per il clima. Nel gennaio 1828 uscì a Milano, sempre per l'editore Stella, la Crestomazia italiana poetica che appare come un conclusivo bilancio di quanto aveva lasciato alle spalle. A Pisa ritrovò la disposizione alla poesia: nacquero Il Risorgimento e A Silvia, i due canti pisani. L'oasi pisana fu però di breve durata; la salute peggiorava e la situazione finanziaria continuava a tormentarlo. Nel maggio morì il fratello e così, dopo un breve soggiorno fiorentino a novembre tornò a Recanati in compagnia di Gioberti. La prigione si richiuse di nuovo; riaffiorarono la rabbia, la noia, la malinconia. Da questo situazione, recuperata ormai la forza evocativa del verso, nacquero i grandi idilli recanatesi: tra l'agosto e il settembre 1829 Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio; nell'ottobre Il canto notturno del pastore errante dell'Asia; ai primi del 1830 il Passero solitario, probabilmente sviluppando un motivo già delineato ai tempi dei primi idilli. Nell'aprile 1830 Leopardi lasciò definitivamente Recanati dove, chiudendo per sempre una felice stagione creativa. Per risolvere il problema di un sostentamento autonomo, sollecitò l'intervento di Vieusseux e accettò la proposta di Colletta che si fece promotore di una sottoscrizione in suo favore tra gli amici della Toscana. Nel novembre 1830 iniziò il sodalizio con Antonio Ranieri, già incontrato nel 1828, e conobbe il filologo Luigi De Sinner. Fu quindi decisa la partenza per Firenze dove lo attendeva il fervore degli amici e una rinnovata vena creativa. Leopardi lasciò alle spalle le memorie e le evocazioni di un tempo, il clima sospeso tra sogno e disperazione che diede la vita agli idilli e affrontò la battaglia con la realtà del presente. Ma pur riaprendo una ferita mai rimarginata e cercando nuovamente il contatto con la cultura e con la vita che l'esilio recanatese gli aveva sempre precluso, era ormai piegato dalla malattia; nonostante questo Firenze agì come catalizzatore e in luglio l'incontro con Fanny Targione Tozzetti fu risolutore. Fanny non fu la donna della giovinezza, sognata e perduta come Silvia, come Nerina, ma fu una presenza reale con la quale il poeta si scontrò duramente. In questo caso il bilancio fu destinato a velare nella memoria il lamento per la felice età perduta. La coscienza del fallimento si trasferì sul piano generale della negatività della vita e si spensero la speranza e il desiderio. Così tra la primavera del 1831 e quella del 1834 diede vita al cosiddetto Ciclo di Aspasia, una serie di componimenti amorosi ispirati dalla passione infelice per la Targioni Tozzetti. La serie era costituita da cinque liriche: Il pensiero dominante (1831), Amore e Morte (1832), Consalvo (1832), A se stesso (1833), Aspasia (1834). Nel marzo 1831 il Comitato del governo provvisorio di Recanati nominò Leopardi deputato all'assemblea nazionale di Bologna, ma il ritorno delle truppe austriache rese ineseguibile la nomina. In aprile uscì la prima edizione dei Canti dedicati agli amici di Toscana. Intanto l'isolamento fiorentino si accentuò e l'unico rifugio rimase l'amicizia con il Ranieri che seguì a Roma quando questi nell'ottobre del 1831 vi si dovette trasferire. Leopardi rimase a Roma in uno stato di cupa prostrazione sino al marzo 1832, quando ritornò a Firenze. Qui portò a termine il Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere, iniziato a Roma e il Dialogo di Tristano e di un amico. Tra l'agosto e l'autunno scrisse Amore e Morte e il Consalvo. Nello stesso anno chiuse definitivamente lo Zibaldone. Nel 1833 la malattia agli occhi si aggravò notevolmente; scrisse A se stesso e l'abbozzo dell'Inno ad Arimane. Nel settembre abbandonò Firenze per Napoli sistemandosi con l'amico Ranieri, ma trovò scarso giovamento nel clima mite della città, anzi la salute peggiorò. Nonostante questo si dedicò alla composizione dei Pensieri. Nella primavera del 1834 scrisse l'ultimo dei canti ispirati all'amore per la Targioni Tozzetti, Aspasia, e iniziò la stesura dei Paralipomeni alla Bratracomiomachia. L'anno successivo scrisse la Palinodia al marchese Gino Capponi e la satira I nuovi credenti; compose la due canzoni sepolcrali Sopra un bassorilievo e Sopra il ritratto di una bella donna. Nello stesso anno iniziò presso l'editore Starita di Napoli la pubblicazione delle sue Opere, delle quali uscirono due volumi: i Canti e le Operette morali. Ormai in tragiche condizioni di salute, per sfuggire alla minaccia del colera che infuriò tra il 1836 e il 1837 a Napoli, Leopardi fu costretto a un soggiorno sulle pendici del Vesuvio con la sorella Paolina e Ranieri. Tutto questo non giovò alla sua salute e Leopardi si rassegnò alla sua malattia, prendendo conoscenza della sua imminente fine. Molto probabilmente è di questo periodo la stesura degli ultimi canti Il tramonto della luna e La ginestra o il fiore del deserto. Giacomo Leopardi morì a Napoli il 14 giugno 1837 nella casa di Antonio Ranieri a soli trentanove anni. 


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