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Sèrbia Repubblica federale (5.840.000 ab.) della penisola balcanica, la cui capitale è Belgrado. Comprende le due unità amministrative autonome di Kosovo e Vojvodina. Il territorio è prevalentemente montuoso, il fiume principale è il Danubio che l'attraversa, raccogliendo le acque dei fiumi Sava, Tibisco e Morava; al confine con la Romania e l'Ungheria si estende la vasta pianura della Vojvodina. L'economia è prevalentemente agricola (frumento, avena, barbabietola) canapa, lino, tabacco, allevamento di bestiame, sfruttamento dei giacimenti di carbone, rame, antimonio, ferro, argento. È in atto un processo di industrializzazione (industrie chimiche, tessili e alimentari). 
STORIA Fu occupata dalla stirpe caucasica dei serbi nel VI sec., cristianizzata nel IX sec., divenne sede di principati bulgari che si unirono nel XII sec. Stefano Dusan venne incoronato imperatore dei serbi e dei greci nel 1345; egli estese il proprio dominio sull'Albania, la Macedonia, la Tracia e l'Epiro. Nel 1389, sottomessa dai turchi, divenne una provincia turca che tentò inutilmente di liberarsi ingaggiando furiose battaglie fino a giungere, nel 1830, alla formazione del principato autonomo di Serbia sotto la sovranità della Turchia. Il trattato di Berlino riconobbe lo stato indipendente serbo divenuto monarchia costituzionale con Milan Obrenovic nel 1882; costui instaurò un regime autoritario filoaustriaco. Nel 1903, salita al trono la dinastia dei Karageorgevic, si formò un movimento panserbo che inasprì i rapporti con l'Austria, culminato, dopo l'uccisione dell'arciduca Francesco Ferdinando a Serajevo, nel 1914, nella prima guerra mondiale. Al termine della guerra, la Serbia costituì con Croazia e Slovenia il regno di Iugoslavia, in cui mantenne una posizione di grande importanza nei ruoli chiave dello stato e nell'esercito, che non venne meno neanche dopo la formazione della Iugoslavia socialista. Dopo la seconda guerra mondiale, essendo la maggiore delle repubbliche della federazione iugoslava, affrontando la disgregazione del paese alla morte di Tito (1980) e al manifestarsi della profonda crisi economica, ha cercato di riproporre la sua egemonia intervendo anche militarmente in Croazia e Bosnia-Erzegovina che si erano proclamate indipendenti e appoggiando le formazioni di soldati irregolari serbi di quei paesi (1991-1992). Si è aperta così una guerra caratterizzata da grande asprezza, con la partecipazione di numerose bande armate di nazionalisti su entrambi i fronti. Nel 1992 l'ONU ha condannato questa guerra imponendo sanzioni economiche e politiche contro la Serbia. Nell'aprile del 1992 la Serbia e il Montenegro hanno proclamato la rifondazione della Federazione iugoslava, senza avere il riconoscimento della comunità internazionale. Contro la Federazione iugoslava l'ONU ha decretato un embargo, mentre S. Milosevic è rieletto alla presidenza della repubblica (dicembre). Nel 1995 dopo l'accordo di Dayton sulla Bosnia-Erzegovina (dove il presidente Milosevic ha trattato a nome dei serbi della Bosnia), l'embargo imposto alla Repubblica federale iugoslava viene tolto. Agli inizi del 1998 le milizia serbe hanno sferrato un'offensiva contro gli indipendentisti albanesi dell'UcK, dando vita a un periodo di terrore e di pulizia etnica. Nel marzo del 1999 la NATO, dopo mesi di pressioni diplomatiche, interviene militarmente con bombardamenti aerei su tutta la Serbia e il Montenegro. Il conflitto accentua l'esodo della popolazione albanese dal Kosovo verso la Macedonia e l'Albania. 


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