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zèn, agg. e sm. invar.Forma di buddhismo sviluppatasi in particolare in Giappone, ove fu introdotta dal monaco Elsai verso il 1215. Lo spirito zen influenza anche oggi numerose attività e comportamenti dei giapponesi. Trascurando l'aspetto metafisico del buddhismo, lo zen tende alla conoscenza completa della realtà, che si può ottenere solo raggiungendo l'illuminazione (satori), attraverso la prassi etica e la meditazione senza oggetto. Si tratta di una condizione diversa dal procedimento normalmente indicato in Occidente con questo termine; la meditazione zen equivale a una concentrazione che allontani tutti i fattori di disturbo. Una volta ottenuto questo stato interiore di vuoto mentale, lo spirito è pronto per accogliere l'illuminazione, uno stato di coscienza che consente di percepire l'unità del proprio essere con il mondo. L'illuminazione zen è un'esperienza di sé che supera tutte le categorie concettuali, che viene descritta da coloro che la fanno in modi diversi secondo la visione della vita di ciascuno. Le tre condizioni base della pratica zen sono: a) assumere la posizione canonica del loto o la posizione seduta sui talloni; b) regolare la respirazione in modo da spostare l'energia al centro del corpo; c) distaccare la coscienza da qualunque oggetto, in modo da ottenere uno stato di pace perfetta. Il tempio della scuola zen ha una sala di meditazione. Durante il corso di esercitazione zen che dura normalmente circa una settimana, la giornata inizia al mattino alle 3 o alle 4 e finisce alla sera alle 21. Durante la giornata ci si dedica alla recita delle sacre scritture buddhiste (sutra), a lavori in casa e in giardino, si consumano tre pasti vegetariani e si medita quasi ininterrottamente, a varie riprese, per un'ora di seguito. Propagandato in occidente, dopo la seconda guerra mondiale, da D. T. Suzuki, oggi lo zen è praticato da gruppi disparati. La pratica zen viene apprezzata per gli effetti benefici sul corpo e come via per il raggiungimento dell'equilibrio interiore. 


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