Enciclopedia

Mussolìni, Benìto (Dovia di Predappio 1883-Giulino di Mezzegra 1945). Figlio di Alessandro, fabbro anarchico e di Rosa Maltoni, maestra elementare. Nel 1901 iniziò la propria attività politica nel partito socialista e nel 1902 dovette rifugiarsi in Svizzera perché renitente alla leva. Da qui fu espulso per attività di propaganda tra gli emigrati. Un'amnistia gli permise di rientrare in Italia nel 1909 e, prestato il servizio militare, si dedicò all'insegnamento, avvicinandosi intanto politicamente al sindacalismo rivoluzionario. Fu responsabile della camera del lavoro di Trento e diresse il quotidiano L'avvenire del lavoratore. Espulso dal Trentino, divenne a Forlì segretario della sezione del Partito socialista. Nel 1912, grazie al grande successo decretatogli dal congresso, divenne direttore dell'Avanti!, ma, per la posizione interventista tenuta nella prima guerra mondiale fu allontanato dal giornale ed espulso dal Partito socialista. Con l'appoggio di ambienti finanziari e industriali fondò un nuovo quotidiano: Il Popolo d'Italia (1914), favorevole all'intervento. Durante la guerra accentuò il proprio orientamento nazionalista e il 23 marzo 1919, a Milano, fondò i Fasci di combattimento, assumendo una politica sempre più di destra, che gli valse l'appoggio della piccola borghesia, degli industriali e dei proprietari terrieri favorevoli alle sue posizioni antisindacali, contrarie al movimento operaio. Fu eletto deputato nel 1921 e, trasformato il movimento in partito, organizzò la marcia su Roma (28 ottobre 1922), forzando Vittorio Emanuele III ad affidargli l'incarico di formare il nuovo governo. Mentre le squadre fasciste accentuavano sempre più la violenza nella contrapposizione contro le organizzazioni di sinistra, approfittando della debolezza della classe dirigente liberale iniziò il processo di cancellazione delle libertà costituzionali e di formazione di un regime dittatoriale. Nel 1923 formò la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, nel 1924, con una legge elettorale maggioritaria, ottenne la maggioranza assoluta in parlamento e, lasciate alle spalle le difficoltà causate dall'assassinio del parlamentare socialista G. Matteotti, nel 1925 annunciò la trasformazione dello stato da regime costituzionale a regime fascista. Nel 1929 stipulò con il Vaticano i patti lateranensi. Il successo fu mediato anche sfruttando le doti di trascinatore e utilizzando in modo spregiudicato i mezzi di comunicazione: le retoriche esaltazioni della romanità e gli atteggiamenti spavaldi ne sono testimonianza. Dopo aver cercato di assumere in politica estera un ruolo di mediatore, opponendosi nel 1934 all'annessione dell'Austria da parte della Germania, e addirittura mobilitando l'esercito a tale scopo e alleandosi con Francia e Inghilterra, decise di accentuare la posizione dell'Italia come protagonista sulla scena internazionale, avviando la guerra d'Etiopia per la conquista dell'impero (1935-1936) e appoggiando i franchisti nella guerra civile spagnola (1936-1939). Si allontanò così sempre più da Francia e Inghilterra, avvicinandosi invece alla Germania di Hitler. Nel 1938 l'annessione dell'Austria veniva accettata e iniziava la guerra d'Albania. Nonostante il Patto d'acciaio con la Germania (1939), Mussolini mantenne inizialmente una posizione neutrale nella seconda guerra mondiale, ma successivamente, credendo che la guerra fosse ormai risolta a favore dei tedeschi e temendo di non partecipare come protagonista al nuovo ordinamento europeo, decise l'ingresso dell'Italia in guerra: tale decisione andava contro il parere sfavorevole dei militari, del regime e della stessa monarchia. Durante la guerra assunse spesso iniziative dettate più dalla ricerca del risultato di prestigio che dall'opportunità militare, come la spedizione in Grecia e la decisione di inviare truppe sul fronte orientale. I pesanti insuccessi militari e la crescente impopolarità del regime spinsero la monarchia e i militari, d'accordo con alcuni gerarchi fascisti, al colpo di stato con la riunione del Gran Consiglio fascista del 25 luglio 1943, alla quale seguì la sua destituzione e la prigionia a Campo Imperatore. Il 12 settembre 1943 fu però liberato da paracadutisti tedeschi e portato in Germania. Rientrato in Italia, fondò la Repubblica sociale italiana. Il 25 aprile 1945 scoppiò l'insurrezione partigiana nell'Italia settentrionale e Mussolini tentò di prendere contatti con il Comitato di liberazione nazionale che coordinava la resistenza armata. Fallito il tentativo, cercò di fuggire in Svizzera, ma fu catturato a Dongo (28 aprile 1945) dai partigiani e fucilato. 


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