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soggettivìsmo, sm. In filosofia indica qualsiasi tendenza che mira a ridurre la conoscenza e la realtà a semplici fatti di coscienza individuale, ossia alla realtà del soggetto pensante, inteso sia in senso individuale che universale. È stata alla base di molte correnti di pensiero moderno a partire da R. Cartesio, che individuò il punto di riferimento della conoscenza nella coscienza che il soggetto ha di sé pensante (cogito ergo sum). Da questa teoria presero spunto molti filosofi successivi, che ne diedero un'impostazione relativistica o scettica (soggettivismo empirico); i due massimi esponenti furono Berkeley e Hume, che escludevano ogni forma di conoscenza diversa da quella sensibile del singolo soggetto. L'altra grande categoria è quella trascendentale, tipica dell'idealismo tedesco (Kant, Hegel) che, oltre a sposare la tesi precedente, prevede anche l'esistenza di una sorta di coscienza o ragione universale; Kant in particolare ricondusse alle categorie a priori del soggetto anche gli aspetti spazio-temporali della realtà, non escludendo l'esistenza di una realtà oggettiva esterna al soggetto. Con l'idealismo romantico di Fichte, l'elemento creatore della realtà materiale del mondo fu individuato in uno spirito soggettivo trascendentale, mentre Hegel considerava il momento soggettivo come una semplice tappa del processo dialettico di affermazione dell'assoluto. 


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