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nazionalsocialìsmo, sm. Movimento politico totalitario costituitosi in Germania nel 1919 con ideologia totalitaria, nazionalista, militarista e razzista. Con l'adesione di A. Hitler divenne il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi e le componenti socialiste furono emarginate, esasperando gli aspetti nazionalisti e l'indicazione della superiorità della razza ariana e l'identificazione degli ebrei come i nemici da sconfiggere. Dopo il tentativo fallito di impossessarsi del potere nel 1923 con il putsch di Monaco, il partito abbandonò i metodi rivoluzionari e diventò il più forte partito tedesco, conquistando il potere nel 1933. Hitler diventò così cancelliere del Reich e, nel 1934 alla morte di Hindenburg, anche capo dello stato. La dittatura imposta e la forte azione di propaganda che spingeva al fanatismo portò all'inizio del genocidio degli ebrei, secondo un vero e proprio piano di sterminio in campi di concentramento. Il sentimento di rivincita della sconfitta subita nella prima guerra mondiale, che aveva portato alla formazione della debole Repubblica di Weimar spinse la Germania di Hitler all'aggressione contro le altre nazioni europee confinanti, per l'acquisizione del cosiddetto Lebensraum (spazio vitale). Inizialmente sottovalutata da Francia e Inghilterra, la politica espansionistica di Hitler portò in breve allo scoppio della seconda guerra mondiale, conclusasi nel 1945 con la sconfitta della Germania. Sciolto il Partito nazionalsocialista, alcuni dei suoi esponenti più in vista furono giudicati e condannati nel processo di Norimberga. 


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