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yiddish, sm. invar. Lingua parlata dagli ebrei ashkenaziti. Scritta in ebraico, si presenta come una varietà di tedesco, ricca di numerose parole ebraiche, aramaniche e slave. Nata dagli ebrei emigrati in Renania e Mosella, divenne lingua d'uso comune delle comunità ebraiche comprese tra Olanda e Russia e successivamente in USA e in Israele. Esiste una letteratura yiddish che nei primi secoli (dal XIII al XVIII) fu di tipo popolare e a carattere religioso. A questo periodo risalgono racconti epici di personaggi biblici (Schmuelbuch, XIV sec.), raccolte di parabole e aneddoti (Zenau-Rena, XVI-XVII sec.), racconti moraleggianti, libri di preghiera ecc. Una vera fioritura si ebbe a partire dal XVIII sec. quando, a causa della rinascita religiosa, la letteratura divenne il mezzo espressivo della cultura ebraica europea dividendosi in due correnti, la razionalistica, legata al movimento per l'emancipazione politica degli ebrei, e la chassidica che produsse racconti leggendari di ispirazione religiosa raccolti successivamente da Martin Bubur (1878-1916). I principali autori sono Mendele Moicher Sfurim (1837-1917), Yizchak Leib Perez (1851-1915) e Shalom Alekem (1859-1916), che scrissero dei ghetti dell'Europa centrale. Nel XIX sec. la maggiore produzione letteraria si ebbe in Unione Sovietica e negli USA, unico paese ancora letterariamente attivo. Qui hanno raggiunto fama internazionale autori come Shalom Asch (1880-1957), Josef Opotoshu (1887-1954) e Isaac Singer, premio Nobel per la letteratura (1978). 


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