Punti di interesse turistico della regione Lazio

CategoriaPOI
TitoloSacro Bosco, Bomarzo
Indirizzo01020 Lazio Viterbo Strada della Croce via
Plus codes8FJJF6WW+89
Periodo1552-1580
DescrizioneIl parco venne realizzato nella seconda metà del sec. XVI (1552-1580) come parco esoterico privato, di sculture e architetture, su commissione di Pier Francesco Orsini, detto Vicino (1523-1585), condottiero ed erudito, culturalmente legato ai Farnese, dopo la perdita dell’amata moglie Giulia Farnese (1560). Secondo gli ultimi studi il progetto del parco, già riferito a Pirro Ligorio, deve essere invece ricondotto a Raffaello da Montelupo, il quale a sua volta affidò la supervisione dell’operato degli scalpellini allo scultore e architetto Francesco Moschino. A questi sarebbe subentrato il figlio Simone, autore in prima persona di buona parte delle sculture. Sepolto da una fitta vegetazione il “Sacro Bosco” è riemerso dall’oblio secolare solo negli anni Cinquanta del Novecento. Il parco nato sulla base della poetica della meraviglia costituisce un’opera decisamente singolare, controversa e densa di simbolismi, nella quale il committente seppe riversare la sua cultura enciclopedica, sublimando il suo stato d’animo di profondo dolore per la perdita della moglie. Stupisce per la prodigiosa capacità di forgiare la natura secondo un progetto che non può non fare riferimento all’immortale tesi delle metamorfosi, non più soltanto rintracciate nel mito canonico ama anche nel concreto del rapporto diretto con lo spazio naturale, metamorfico. Popolato di animali, mostri, figure mitologiche, dei, case pericolanti, falsi ruderi, fontane, tale ambiente, bucolico e fiabesco, costituisce ancora oggi un episodio che, nonostante la sua estesa fortuna, non è mai stato replicato. Le figure iperboliche, estasianti, escono fuori dalla realtà naturale, sono fatte di roccia plasmata dall’ingegno degli artefici. Bomarzo acquista sempre più la caratteristica di opera d’arte unitaria e unitariamente pensata nella creazione di un vero e proprio nuovo genere artistico, che non è il giardino puro e semplice, non è architettura e non scultura né metafora letteraria, ma la combinazione di tutto ciò. Alle innumerevoli fonti d’ispirazione per il committente Vicino Orsini, scaturite dai suoi molteplici viaggi in Europa, si dovette aggiungere con certezza la conoscenza delle costruzioni e dei progetti spettacolari del cardinale Alessandro Farnese a Caprarola e del duca Ottavio Farnese a Parma. Il giardino è costruito su tre livelli. Il primo livello, risalente agli inizi degli anni sessanta del XVI secolo, è quello attorno al teatro, realizzato tuttavia già nel 1552, come testimonia l’iscrizione “Vicinio Orsini MDLII”, incisa su uno dei due cippi installati davanti al teatro stesso, e probabilmente non concepito, inizialmente, come parte di un progetto più ampio. Il cippo gemello a quello con la data 1552, nei pressi del teatro, reca la scritta “sol per sfogar il core”, frase che potrebbe connettersi a una prima idea di igiardino inteso come parco letterario, L’area intorno al teatro è costituita da uno spiazzo rettangolare di 21x 38 metri circa. Il suo asse conduce l’occhio del visitatore verso la “Dama” nella grotta semidistrutta, originariamente coperta a botte, la cui struttura è costituta dalla continuazione del rozzo muro di sostegno della platea dei vasi. La nicchia è tozza e articolata sinteticamente da una cornice d’imposta piatta e un archivolto senza profili. La dama è rappresentata con la parte del corpo inferiore vestita e la parte superiore nuda fino all’ombelico, dal quale sgorgava originariamente l’acqua che confluiva nel bacino sottostante, decorato da un rilievo raffigurante un mostro alato. Lo stile di questa statua ricorda quello di Raffaello da Montelupo. Sul lato opposto dell’area sorge la “casetta pendente”, uno dei pochi monumenti di Bomarzo che presenta lo stemma Orsini con l’elmo baronale. Ai piedi della casa ci sono due iscrizioni; la prima: “CRIST. MADRUTIO . PRINCIPI . TRIDENTINI . DICATUM”, è una dedica al cardinale Madruzzo, vescovo di Trento dal 1539, che probabilmente è intervenuto presso gli spagnoli per far liberare Vicino, loro prigioniero nella Fiandre, tra il 1553 e il 1555; la seconda: “ANIMUS. FIT . QUIESCENDO . PRUDENTIOR . ERGO”, è probabilmente successiva e si inquadra nella filosofia del parco, essendo un invito al visitatore a fare una pausa nella visita. Su un altro lato della casetta pendente compare una terza targa, sopra un ornamento di gigli, probabile allusione ai gigli araldici di Giulia Farnese. L’edificio, la cui parte basamentale è ricavata dalla roccia affiorante, è completato come una normale costruzione a forma di un palazzetto rinascimentale, con le stanze e il camino. Tuttavia entrandovi esso provoca un forte malessere derivato dall’effetto fisicamente destabilizzante di una costruzione squilibrata. Già prima di entrare nel Sacro Bosco il visitatore aveva quindi la sensazione di avvicinarsi a un mondo fragile e pericolante. Allo stesso tempo l’edificio inclinato potrebbe aver avuto la funzione di quinta architettonica per rappresentazioni teatrali. La “casetta pendente” è una struttura turriforme costituita da una campata larga distinta da bugnato e ordine, e una campata stretta rientrante, con articolazione più modesta, disposizione immediatamente ispirata alla casa di Giulio Romano a Roma. A destra della casetta pendente sale una scaletta che conduce al II livello, dove si trova la cosiddetta platea di vasi, ovvero un area rettangolare di 9x 28 metri circa, posta immediatamente al di sopra del Teatro e in asse con esso. La platea è fiancheggiata da due file di urne e l’occhio del visitatore è subito attratto dalla statua gigantesca del “Dio barbuto”, alla cui destra si erge il gruppo del “Drago in lotta con i leoni”, subito seguito dall’ “Elefante turrito”. La platea rappresenta quindi una sosta di sala di aspetto e durante gli anniversari della morte di Giulia Farnese, potrebbe aver costituito la seconda tappa del percorso verso il tempietto, mentre in altre occasioni veniva certamente utilizzata come area destinata a festeggiamenti o cene da cui si poteva anche assistere a spettacoli teatrali. Nei pressi di questo spiazzo è scolpito il “Mascherone infernale”, anche detto l’Orco, immagine inequivocabile della morte, che nasconde all’interno un piccolo vano, con condizioni acustiche estremamente sgradevoli, provvisto di tavolo e panca lapidei, che invita a godere del fresco della grotta nei giorni di calura estiva. Questa ambiguità tra l’allusione alla morte e al ricordo di Giulia da un lato e l’invito ai piaceri e alle frivolezze dall’altro sembra un tratto caratteristico del pensiero di Vicino Orsini e del suo artista. Da questo livello si sale al III livello costituito dallo “xystus”, altro terrazzamento artificiale di forma regolare di 16 x 42 metri circa, molto più esteso quindi della sottostante “platea di vasi”, al cui ingresso sono posti i due orsetti reggenti la rosa (figura araldica degli Orsini), su plinti quadrati. Tale “xystus” è orientato parallelamente all’asse longitudinale del “Sacro Bosco” e costituiva fin dall’origine una delle aree del giardino meglio visibili dal castello, da dove si poteva scorgere anche la “dea con corona” ovvero “Persefone”, la regina degli Inferi, collocata davanti allo “xystus”, al lato sud-orientale, a circa 25 metri di distanza dal tempietto. Dietro alla dea è posto “Cerbero”, il guardiano dell’oltretomba, ulteriore allusione alla morte di Giulia. Durante l’anniversario della sua scomparsa, quando veniva celebrata una messa a suffragio in presenza della famiglia e dei sudditi, lo “xystus” poteva essere utilizzato come luogo di raduno dei fedeli e di conseguenza il sovrastante belvedere aveva la funzione di pulpito per il sacerdote. Salendo ancora su una delle due scale, quella di sinistra di modello bramantesco, si giunge finalmente al tempietto: riferibile inequivocabilmente a Giulia Farnese come conferma la presenza dei tanti gigli Farnese, associati alle rosette Orsini, nella volta del pronao. Si tratta di un tempio mausoleo della tipologia di quelli tardo-antichi costruiti a Roma sulla via Appia. La scala bramantesca con cui si sale al pronao ricorda il teatro: tre gradini semicircolari proseguono in due scalette laterali costituite a loro volta da due rampe di tre gradini ciascuna. Il tempietto rappresenta il primo mausoleo post-antico costruito in epoca rinascimentale, con fronte di tempio costituito da un colonnato libero come quello del Pantheon. L’arco della campata centrale penetra nel timpano, mentre l’interno del pronao, con i suoi cassettoni decorati, ricorda il vestibolo del palazzo Farnese a Roma. La cella ottagonale, larga solo 4 metri circa il tamburo con oculi e la lignea cupola rialzata con lanterna, rievocazione della cupola del duomo di Firenze, rimandano alla funzione profondamente religiosa del tempietto. Questo è circondato da steli con teschi e tibie incrociate evocazione quasi teatrale della morte mentre lo zoccolo presenta clipei un tempo decorati da un programma astrologico. Il centro geometrico del “Sacro Bosco” è rappresentato dalla torre semidistrutta che divide idealmente l’intero sito del giardino in due metà quasi uguali: quella nord-occidentale, in cui è collocata l’entrata originaria, e quella sud-orientale, che terminano con il lago artificiale. Nei primi anni sessanta del Cinquecento i lavori si concentrarono sulla metà nord- occidentale, dominata dall’architettura e dai grandi spiazzi, mentre alcuni capricci scultorei della metà sud-orientale come i “Colossi in lotta” dovrebbe risalire solo agli anni settanta. Nel 1560 il giardino venne aggiornato dall’esigenza di reperire una nuova area per la costruzione del tempietto dedicato alla defunta moglie Giulia Farnese. Questo, visibile già in lontananza, è collocato su uno dei punti più alti del giardino e rappresenta la meta ultima del “Sacro Bosco”. Per raggiungerlo il visitatore del Cinquecento doveva scegliere il percorso che si snoda dall’entrata originaria, posta presso la “casetta pendente” e che conduce alla sommità, attraversando aree ricche di rappresentazioni suggestive e significative.

Fonte dei dati: Filas | Distretto Tecnologico della Cultura - futouring.eu
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